Tribunali senza cancellieri: il ministero sopperisce inviando barellieri e crocerossine!
Giustizia nel caos: aumentano i magistrati ma il personale amministrativo manca e il ministero, ricorrendo alla mobilità, “copre” con barellieri e infermieri!
A più riprese ed in tempi diversi le TV -di stato e private- hanno posto l’accento su una delle problematiche di difficile risoluzione del nostro Paese: la lungaggine con cui viene amministrata la giustizia.
E’ da anni, infatti, che sentiamo dire: “Gli uffici giudiziari sono talmente oberati che non si riesce più a smaltire il carico di lavoro”. “I processi vengono rinviati a date che superano l’anno solare”. “L’ingente carico di lavoro rallenta l’iter burocratico con cui viene amministrata la giustizia”. “La Giustizia è al collasso”.
Nel frattempo, però, si continuano ad indire, con cadenza biennale, concorsi in magistratura; di contro, sono decenni che non viene più indetto un concorso per l’assunzione di personale amministrativo.;
Il personale amministrativo viene posto in quiescenza per raggiunti limiti di età pensionabile, creando una voragine nella pianta organica che, ad oggi, è di oltre novemila unità.
Ciò, comporta una inevitabile sperequazione tra magistrati e personale amministrativo, da cui, appunto, consegue la difficoltà gestionale della macchina amministrativa.
Bisogna, per ciò, porre rimedio affinché la giustizia venga amministrata in maniera corretta e senza affanni.
E allora, il Ministro cosa fa? Come d’incanto, alla stessa stregua di un prestigiatore di lungo corso, afferra per le orecchie il coniglio e lo tira fuori dal cilindro. Già.
Appellandosi all’istituto della mobilità esterna, attua la migrazione verso le sedi giudiziarie della nostra beneamata Patria di oltre 350 unità lavorative scelte tra barellieri, infermieri e medici provenienti dalla Croce Rossa Italiana.
Questi ultimi, in taluni casi, benché privi del titolo di studio specifico, richiesto in sede concorsuale (diploma di scuola superiore di secondo grado e/o laurea in giurisprudenza, scienze politiche e similari), si ritrovano ad occupare un posto di rilievo, e talvolta, dirigenziale nella nuova sede lavorativa, a dispetto del lavoratore già appartenente al comparto giustizia, in attesa, da oltre un quarto di secolo, per una tanto sognata, richiesta e mai ottenuta, riqualificazione.
Il tutto, ovviamente, senza una preliminare formazione di base impartita al personale migrante.
Si provi ad immaginare se, domani mattina, di punto in bianco, un diplomato o laureato in giurisprudenza, scienze politiche o lauree affini, dipendente della giustizia, con lo stesso sistema attuato nel caso in questione, migri nel comparto sanità e, come per incanto, si ritrovi a svolgere le mansioni dell’infermiere o, peggio ancora del medico. Assolutamente ridicolo.
Ma il principio è lo stesso, la differenza sta nei risultati pressoché nulli. Ciò, vale anche nel caso in specie.
Potrebbe sembrare la trama di una fiaba, tanto è surreale quanto accade. Purtroppo, è realtà. Ma non finisce qua.
Il Ministro ha evitato di riqualificare il personale interno al Ministero e ha evitato di equiparare gli emolumenti stipendiali tra i propri dipendenti e i neo assunti.
Ciò, in barba ad ogni logica e, soprattutto, sacrificando, per l’ennesima volta, i propri dipendenti, privandoli di un rinnovato contratto di lavoro che prevedesse un adeguamento stipendiale, e la tanto inseguita e mai raggiunta riqualificazione.
E’ stato attento, però, a far conservare ai lavoratori migranti le alte qualifiche di provenienza e gli stipendi di gran lunga superiori ai dipendenti della giustizia, creando così:
1) la diseguaglianza stipendiale tra le due categorie di lavoratori inserite nello stesso contesto lavorativo;
2) malumori nei dipendenti giudiziari che, aspettano una giusta e adeguata riqualificazione, visto che è l’unico Ministero che, da decenni, non provvede a ciò, oltre al fatto che, si vedono scavalcati nelle qualifiche occupazionali da chi, della giustizia, ha sentito sicuramente parlare, ma che ne disconosce, ovviamente, il modo di amministrarla.
Sono queste ed altre le ragioni per cui il Segretario Generale di Federazione Intesa-FP, Claudia Ratti, il 12 settembre scorso, ha comunicato al Ministro della Giustizia, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro del Lavoro e alla Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sul diritto dello sciopero lo stato di agitazione dei dipendenti della Giustizia, nonché la proclamazione di un eventuale sciopero, qualora non si raggiunga la conciliazione tra le parti (Governo e Sindacati) circa le problematiche oggetto di contestazione.
Sentiti in proposito, alcuni dipendenti tengono a precisare che, non provano alcuna avversione nei confronti dei colleghi pervenuti da altri ambienti lavorativi.
Tutt’altro: sono anche essi vittime di una scelta, seppure legittima, sbagliata nel metodo con cui ha trovato attuazione.
A proposito della mancata riqualificazione di tutto il personale della Giustizia, il 21 scorso si è tenuta a Roma, nelle immediate adiacenze del Ministero, una manifestazione contro le scelte del Ministro, a cui hanno partecipato una moltitudine di dipendenti provenienti da diverse sedi giudiziarie.
Una delegazione di questi ultimi ha avanzato richiesta al Ministro o suo portavoce di essere ascoltati al fine di reclamare le ragioni a sostegno della mancata riqualificazione del personale tutto, ma soprattutto un pari trattamento e una pari dignità col personale provenienti da altre sedi. Nulla di fatto.
“E’ auspicabile una giusta conciliazione – riferisce un impiegato – vedrete che il Ministro tornerà sui suoi passi quando gli sarà chiarito che per ‘“Giustizia al collasso’ non voleva invocarsi l’intervento dei barellieri“.
Delusi, ma non vinti, i lavoratori manifestanti sono rientrati alle loro rispettive sedi di appartenenza, non prima di aversi dato appuntamento per altre forme di proteste in corso di organizzazione.
(Lorenzo Applauso – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)