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Tutti pazzi per Franco Pepe: svetta (anche) in California l’incomparabile pizzaiolo di Caiazzo

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I media locali: “The best pizza maker in the world”

Il sito di Spacca, insegna che appartiene a Nancy Silverton, Mario Batali e Joe Bastianich, “spara” una grande foto dell’evento che ha visto protagonista per nove giorni Franco Pepe. Esito: sold out e pioggia di elogi.

Hollywood a un passo, da queste parti il divismo è di casa. Ma Franco Pepe è quasi intimidito mentre legge il Los Angeles Times che lo definisce “the best pizza maker in the world”, il miglior pizzaiolo al mondo: «Mamma mia, quante feste mi hanno fatto! Ma non vorrei suscitare invidie…». Certo, la sua agenda delle ultime settimane era da superstar: prima a Londra con Identità Golose e Harrods. Poi negli Stati Uniti come solista, nove giorni tra Los Angeles e San Francisco, sei incontri-degustazioni da tutto esaurito, e non certo per il modico prezzo (195 dollari per assistere al cooking show e divorare 4 spicchi della pizza “Pepe style”, con abbinamento vini incluso).

«Esito: sold out. E alla fine non volevano mai andarsene! Tutti a chiedere, a stringermi la mano… C’era chi era venuto apposta dal Texas, qualcuno persino dal Messico. E c’erano tanti imprenditori e businessmen, mi hanno fatto proposte da capogiro, troppo grandi per me». Perché Pepe è un uomo integro e quando gli si domanda quale sia stato il complimento più gradito, cita quello Jonathan Gold.

Ha fatto furore in California la pizza fritta di Franco Pepe
 Ha fatto furore in California la pizza fritta di Franco Pepe

E non tanto perché Gold è un famoso scrittore, critico gastronomico e giornalista americano, vincitore del premio Pulitzer; quanto per quello che gli ha detto, dopo aver mangiato la pizza: «Caro Franco, sai che ti dico? Che sa di Caiazzo», ossia il borgo campano dove – citiamo di nuovo il Los Angeles Times e il suo reporterRuss Parsons, autore dell’articolo intitolato Italian pizza master Franco Pepe visits the Mozza-plex – “il nonno di Pepe aprì la sua pizzeria. E dove oggi, ogni sera, la pizzeria Pepe in Grani viene presa d’assalto da 400 clienti, lieti di fare giudiziosamente una fila che può durare anche due ore”.Tanti elogi, roba da ubriacatura, da stordimento, «una grande esperienza. Per la quale devo dire grazie a Nancy», che di cognome fa Silverton, patron di diversi locali assai popolari a LA (e Singapore), denominati Mozza o Spacca, in comproprietà con Mario Batali e Joe Bastianich: «Venne qualche anno fa a Caiazzo da me, insieme al compagno Michael Krikorian, un famoso giornalista di cronaca nera».

Andò così, secondo il LA Times: “La Silverton era stata convinta a guidare fino a Caiazzo – quattro ore da casa sua in Umbria – su consiglio di un’esperta di cibo italiano, Faith Willinger. «Ero stata in tutte le pizzerie più famose di Napoli, e onestamente non ero rimasta entusiasta delle pizze che avevo mangiato». Ma quando arrivò a Caiazzo si rese conto di aver trovato qualcosa di speciale (…) «Quando mi sono seduta e ho addentato il mio primo boccone, ho capito perché»”.

Pepe col premio Pulitzer Jonathan Gold
 Pepe col premio Pulitzer Jonathan Gold

Osanna meritati per Pepe, dunque, che condivide i meriti («Ho citato tantissime volte Identità Golose, a ogni incontro; il percorso di crescita è stato comune») e indica anche i motivi di un entusiasmo «che mi ha riempito di energia». Primo, «ho spiegato agli americani la nuova pizza italiana, quella che interagisce con l’alta cucina. Ho raccontato come la mia pizza sia cucinata due volte, una in forno e l’altra dopo, quando la si rifinisce. Ho sottolineato che vengo dalla tradizione, ma non ho paura di correggerla, se necessario. E dunque non tutto va cotto a 450°; i pizzaioli “classici” mettono il basilico in cottura, ma io per preservarne l’aroma e la freschezza l’aggiungo invece solo al momento di portare in tavola».Ed ecco quindi la seconda ragione di tanti consensi: piace negli Usa quest’idea di un’Italia che è salda sulle proprie radici, ma non immobile, perché sa (finalmente) anche innovare, persino in un campo spesso conservatore come la cucina. «Sono rimasti affascinati dalla mia voglia di sperimentare. Io rappresento la terza generazione di pizzaioli e panificatori, nella mia famiglia. Però guardo al futuro: ho parlato di Scugnizzo, il forno elettrico che ho portato anche a Identità Milano (ne abbiamo scritto qui). Faccio l’impasto a mano, ma sto cercando di contribuire alla realizzazione di un’impastatrice meccanica che assicuri risultati equivalenti. Eppoi uso solo il mio blend di farine…».

Farine che sono diventate quasi un caso: «Mi sono portato tutto dall’Italia, pur sapendo che era un azzardo poiché in California, con climi e condizioni diverse, gli esiti potevano essere a loro volta differenti (e invece sono stati perfetti, ndr). Atterro a Los Angeles e scopro che le mie farine sono rimaste a San Francisco. Erano le 17, mi sono arrabbiato: “Non posso lavorare senza, o arrivano entro mezzanotte o salta tutto e torno a casa”. Una ragazza a San Francisco ha preso subito due valigie, le ha riempite coi miei sacchi di farina, è salita su un aereo e a mezzanotte meno cinque era a Los Angeles. Che avventura!».Il giudizio finale di Pepe non può essere che positivo: «Hanno capito che io non lavoro più per avere una pizza buona, quella è una pre-condizione. Voglio una pizza sana. E in California sono molto attenti a quest’aspetto». Il giudizio finale diNancy Silverton è ironico: «Da imprenditrice, ho commesso un grave errore nell’invitare Franco. E sa perché? Perché da adesso i miei clienti faranno il confronto tra le mie pizze e quelle di Pepe. Ne uscirò distrutta».

Pepe is not some rustic pizzaiolo, but one of the new breed of Italian gastro-philosophers”. (Russ Parsons, Los Angeles Times)

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