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Roccamonfina. Sgomento per la morte del dottor Maccarone

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Attorniato dall’affetto dei suoi cari,

nella mattinata di domenica 12 aprile il dottor Andrea Maccarone si è spento alla veneranda età di 92 anni, dopo aver assolto egregiamente al suo compito di medico condotto per diverse generazioni dei residenti del comune di Roccamonfina.

Nel corso della sua vita terrena, il medico Maccarone si è distinto per la sua carica di umanità e attaccamento al suo paese, a cui ha contribuito con iniziative tese ad apportare un rilancio turistico culturale.

Il suo grande impegno professionale, gli ha consentito di ricevere onorificenze, encomi ed attestati di fiducia anche dalle alte cariche dello Stato nonché dagli apparati locali, regionali e provinciali.

Il suo intervento eccelso espletato come medico di base, ha permesso all’amico di tutti i roccani di salvare tante vite umane nel periodo cruento del primo dopoguerra.

I suoi interventi istituzionali l’hanno visto impegnato ad ottenere al riconoscimento alla “ sua” Roccamonfina, della medaglia d’argento al merito civile per la deportazione subita in prima persona da Maccarone e da tanti suoi concittadini.

Per raccontare le molteplici azioni messe in campo dallo stimato medico Maccarone, sia in campo professionale, umanitario e politico, servirebbe scrivere un libro, ma preferiamo onorare la sua illustre figura di medico, marito e padre esemplare con la sua richiesta scritta ed inviata al Presidente della Repubblica per l’ottenimento della medaglia d’argento al merito civile, dove Maccarone sottoscrive:

“Saremo potuti tornare liberi, arruolandoci nell’esercito della Repubblica di Salò; noi, allora ventenni, guidati e seguendo il consiglio dei compagni quarantenni militari e civili, preferimmo la prigionia e la morte nei lager, alla libertà della Repubblica di Salò: tra deportati e internati militari fummo più di 200.000 a dire “No” a Hitler e Mussolini”.

Il suo ricordare ai giovani ed in particolare al Capo dello Stato iniziava cosi.

“Noi sopravvissuti (oggi di quei mille deportati siamo rimasti in soli 45 in tutto il comune di Roccamonfina), ancora sgomenti, non abbiamo mai dimenticato, né dimenticheremo mai quella terribile scena. Piazza Nicola Amore, gremita di giovani, vecchi, bambini, padri, figli, nipoti, nonni, mamme, mogli, fidanzate, tutti attoniti, sbalorditi, tremanti, piangenti; sentiamo ancora le urla strazianti, le grida, gli strilli dei nostri cari quando, strappati a loro, le SS, a spintoni, ci scaraventarono sugli autocarri militari e partimmo, ignari, verso un’avventura di cui, al momento, soprattutto noi giovani, non comprendemmo la mostruosità.

Ci sbarcarono alla stazione ferroviaria di Fondi-Sperlonga e da qui, rinchiusi per una settimana nei carri bestiame, attraverso peripezie e sofferenze inimmaginabili, raggiungemmo Dachau, accolti come traditori e sotto una pioggia di sputi datedeschi, francesi, greci, polacchi, russi, cechi, da tutti. Per i tedeschi eravamo “Badoghini” (Badoglio, traditore), “scheise” (merda), e lo stesso ci chiamavano i francesi, “merde” e traditori, accompagnando le parole con il gesto della pugnalata alle spalle, mentre per i greci eravamo armata “Sagapò”, vale a dire puttanieri.

Questo eravamo noi giovani italiani a Dachau: disprezzati, odiati, invisi a tutti.

Molti di noi finirono negli stessi lager ove poi furono rinchiusi i nostri militari provenienti dai vari fronti: dall’Italia, ma soprattutto dall’Egeo, Grecia, Albania, Francia.

A questi militari Hitler, ritenendoli traditori, diede la qualifica di “Internati Militari Italiani”(LM.l) e non quella di KG (prigionieri di guerra), creando una categoria di prigionieri militari non prevista dai trattati internazionali, allo scopo di privarli anche dell’assistenza della Croce Rossa internazionale; questi militari furono sfruttati per ogni tipo di lavoro, senza nessuna copertura assistenziale, senza retribuzione e a causa delle durissime condizioni di detenzione e sfruttamento a cui furono sottoposti dal settembre del 43 a11 ‘estate del 45, per non aver collaborato con i tedeschi, ne morirono 40.000 durante la prigionia e altre decine di miglia dopo il rimpatrio.

In questi lager, sottoposti a lavori forzati e a turni massacranti di dodici ore di lavoro (dalle 6 alle 18 e dalle 18 alle 6)senza alcuna interruzione, malvestiti, denutriti e soprattutto umiliati in tutti i modi, avemmo un comportamento dignitoso, fermo. sereno responsabile e pulito che tuttora ci onora e ci distingue!

Saremmo potuti tornare liberi, arruolandoci nell’esercito della Repubblica di Salò; noi, allora ventenni, guidati e seguendo il consiglio dei compagni quarantenni militari e civili, preferimmo la prigionia e la morte nei lager, alla libertà della Repubblica di Salò: tra deportati e internati militari fummo più di 200.000 a dire “No” a Hitler e Mussolini.

La storia, ancora oggi, non ha dato degno e giusto risalto a questa pagina così gloriosa che significò, dopo Cefalonia, l’inizio della Resistenza.

Questa pagina di storia dovrebbe, a pieno titolo, entrare nella memoria nazionale. Anche questo periodo triste della nostra storia e della nostra vita passò e nell’ estate del 45 facemmo ritorno a casa, lasciando in terra straniera, sepolti, alcuni nostri sfortunati compagni ai quali va il nostro più affettuoso e imperituro ricordo.

Al ritorno (a piccoli gruppi, da giugno fino al dicembre del 45) dal Brennero a Roccamonfina, come a Carinola, trovammo un’Italia sconvolta,distrutta,macerie dappertutto.

Chiudo con questa dolorosa constatazione: per noi scampati ai lager, alla guerra, ai gulag, constatare che i ragazzi di oggi, addirittura universitari, sanno poco o niente di quegli anni e che nemmeno i programmi ministeriali delle scuole dedicano sufficiente spazio alle vicende che stanno alla base e hanno visto nascere l’Italia libera, democratica e repubblicana è motivo di scoramento e di profonda amarezza.

Noi sopravvissuti vorremmo innanzitutto che i pochi superstiti della deportazione, i pochissimi ex combattenti e reduci dell’ultima guerra, fossero da oggi rispettati e avessero nelle pubbliche manifestazioni lo stesso posto riservato in prima fila alle autorità civili e militari, non dico per riconoscenza ma in considerazione del fatto che tutti, autorità e cittadini, godono della libertà conquistata da questi superstiti e soprattutto dai loro compagni che l’hanno conquistata al caro prezzo della vita e dei sacrifici che ho descritto. Si dovrebbe cioè riservare a questi reduci della deportazione e agli ex combattenti della guerra 1940-45 quel trattamento d’onore che, negli anni venti e trenta, veniva offerto agli ex combattenti della guerra 1915-1918.

Noi sopravvissuti vorremmo inoltre che 1’8 settembre 1943, il 23 settembre 1943, le parole deportazione, lager, Auschwitz, non fossero più sconosciute ai giovani, ma che fossero impresse nelle loro menti, nei loro cuori per poterle trasmettere ai posteri, senza odio e senza risentimenti, allo scopo soltanto di ricordare quello che è accaduto, affinché ognuno, nel proprio ruolo, si’ adoperi a costruire la pace nelle Famiglie, la pace nelle Scuole, la pace nei Comuni, la pace nelle Nazioni, la pace nelle Chiese, la pace nel Mondo, perché è soltanto con la Pace, come va predicando il Santo Padre Benedetto XVI, che si evitano le guerre, le deportazioni, i lager, i gulag, le stragi di oggi, soprattutto nella speranza che questa consapevolezza cancelli per sempre, dai muri e dai cartelloni degli stadi, svastiche e scritte inneggianti a questo passato che io ho descritto e ricordato e che ci auguriamo e auguriamo ai nostri giovani, figli e nipoti non diventi più presente”.

(Anna Izzo – News elaborata – archiviata in @TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)

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